Un lavoratore intento a salire su un traliccio precipita al suolo e riporta delle lesioni con una prognosi superiore a 40 giorni.
Dagli accertamenti compiuti per ricostruire la dinamica dell’infortunio risulta che il lavoratore – chiamato ad eseguire quell’attività in esecuzione di un contratto di distacco temporaneo stipulato ai sensi dell’art. 30 D.L.vo 276/2003 – era salito sul traliccio a mezzo di un carrello cui era assicurato con delle cinghie di sicurezza costituite da una imbragatura unita al carrello da un moschettone; indiscussa la causa dell’infortunio seguito alla caduta – ravvisata nel difettoso funzionamento della ghiera di bloccaggio della linguetta del moschettone che non scorreva correttamente lungo le filettature di avvitamento e che, apertasi accidentalmente, aveva consentito lo sfilamento dell’imbragatura dal carrello elevatore – appare, invece, assai discutibile l’attribuzione delle responsabilità che è stata avallata dalla Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, n. 4480 del 5 Febbraio 2021) nel momento in cui è stata chiamata ad esaminare la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze.

Per l’infortunio occorso al lavoratore erano stati, infatti, giudicati responsabili per il reato di cui all’art. 590 c.p. sia il datore di lavoro ed il dirigente dell’impresa distaccataria sia il datore di lavoro dell’impresa distaccante e, con esso, la stessa impresa distaccante per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies D.L.vo 231/2001; la colpa di tutti, indistintamente, era stata ravvisata nella violazione dell’art. 77, comma 4, lett. a) D.L.vo 81/08 che, come noto, obbliga il datore di lavoro a mantenere in efficienza i DPI.

Nel confermare la sentenza pronunciata nei confronti dell’ente – società distaccante – la Corte richiama espressamente il disposto di cui all’art. 3, comma 6, D.L.vo 81/08 secondo cui in caso di distacco del lavoratore «tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato», previsione di legge che, come ricorda la Corte, trova conferma nella giurisprudenza di legittimità secondo cui sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici che restano a carico del datore di lavoro distaccante.

Tale concetto viene ribadito poco più avanti là dove la Corte afferma che il distaccante, prima che abbia corso il distacco, ha la titolarità degli obblighi tipici della posizione datoriale; in quell’area in cui i poteri direttivi si attenuano per la sempre maggiore incombenza degli analoghi poteri del distaccatario quegli obblighi assumono i contenuti resi possibili dalla particolarità di tale vicenda. Nel momento in cui trova esecuzione la prestazione del lavoratore, il datore di lavoro distaccatario assume tutti gli obblighi prevenzionistici, eccezion fatta per quello di informazione e di formazione sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali vi è il distacco. 

Alla luce di tale premessa la Corte passa ad esaminare il primo motivo di ricorso dell’impresa distaccante che lamentava l’ingiustizia della condanna inflitta nei suoi confronti osservando: che l’infortunato, per quanto emergeva dalla stessa sentenza impugnata, era stato adeguatamente formato e preparato, trattandosi di operaio esperto; che il mancato funzionamento del presidio non poteva valere a fondare la colpa del datore di lavoro che lo aveva fornito, una volta assolti gli obblighi manutentivi imposti dalla scheda tecnica, come dimostrato dal relativo certificato; che gli stessi operai erano in grado di verificare visivamente la piena funzionalità dei presidi loro consegnati, il datore di lavoro avendo reso disponibile un numero di DPI superiore rispetto al necessario, proprio al fine di consentire l’immediata sostituzione di quelli che fossero risultati malfunzionanti; che, infine, era la società distaccataria ad avere il controllo del cantiere e, quindi, ad essere in condizione di esercitare la vigilanza sulla corretta esecuzione delle opere.

La laconica ed insoddisfacente risposta offerta dalla Corte di Cassazione a tali articolate doglianze è quella per cui la dotazione dei presidi funzionanti e la perdurante manutenzione di essi discende dagli obblighi datoriali che precedono la fase esecutiva, stante la strumentalità di quei presidi rispetto alla lavorazione cui deve attendere il lavoratore distaccato.

Pertanto, la corretta funzionalità dei presidi dei quali il lavoratore è stato dotato dalla distaccante deve essere garantita per tutta la durata della lavorazione, il che implica l’adempimento di obblighi di vigilanza sul corretto funzionamento dei presidi stessi e sulla loro manutenzione, tenuto conto delle modalità e della frequenza del loro impiego.

Va, infine, rilevato che eventuali accordi contrari in deroga alla previsione normativa (come nel caso di specie ha ricordato anche il giudice di merito) sarebbero privi di efficacia, appartenendo le norme antinfortunistiche al diritto pubblico ed essendo le stesse inderogabili in forza di atti privati.

Secondo la Corte spetta, quindi, al datore di lavoro distaccante mantenere in stato di efficienza i DPI – obbligo sancito dall’art. 77, comma 4, lett. a), D.L.vo 81/08 – anche durante l’esecuzione del contratto di distacco, comportamento che, oltre ad essere inconciliabile con lo stesso dettato normativo da cui muove la Corte di Cassazione, appare, in concreto, assolutamente inesigibile per il datore di lavoro distaccante che, una volta distaccato il lavoratore, non ha alcun potere di controllo rispetto alle attività svolte sotto la direzione (e la vigilanza) del datore di lavoro distaccatario.

Come può il datore di lavoro distaccante vigilare sul corretto funzionamento dei DPI utilizzati nel corso delle attività lavorative svolte presso il distaccatario?

Come può, riprendendo le parole della Corte di Appello cui la Corte di Cassazione non muove alcuna censura, il datore di lavoro distaccante assicurarsi che l’originaria efficienza del presidio perduri per tutta la durata del suo impiego, eventualmente anche vigilando sulla correttezza dell’agire del lavoratore?

La risposta, a nostro modo di vedere, è che non può ma, soprattutto, che non deve perché non spetta a lui vigilare su attività che vengono svolte sotto la direzione di altri.

Di contrario avviso, è invece la Corte di Cassazione che però non spiega le modalità con cui il datore di lavoro distaccante potrebbe / dovrebbe vigilare sulle attività svolte presso il datore di lavoro distaccatario. 

La Corte neppure spiega perché a questa prima valutazione non consegua la riforma della sentenza di condanna pronunciata nei confronti del datore di lavoro distaccatario a cui non si comprende che rimprovero possa essere mosso se l’infortunio è dipeso dalla violazione di una regola cautelare che, a detta della Corte, doveva essere adempiuta dal datore di lavoro distaccante; nessuna spiegazione neppure su tale aspetto se non una dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi presentati dagli imputati dell’impresa distaccataria.

Non meno perplessità suscita, infine, la valutazione offerta dalla Corte di Cassazione all’ultimo motivo di ricorso avanzato dalla società distaccante che censurava la sentenza di appello nella parte in cui aveva riconosciuto che alla condotta del datore di lavoro (omessa sostituzione del moschettone) era collegato l’interesse dell’ente consistito in un innegabile vantaggio, tradottosi in un risparmio di spesa, restando irrilevante l’entità economica di esso.

 Nel respingere anche tale motivo di ricorso la Corte di Cassazione richiama il principio per cui l’interesse dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa; pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).

Fissato questo condivisibile principio, la Corte di Cassazione si sarebbe allora dovuta confrontare con le doglianze della società ricorrente secondo cui i moschettoni forniti erano in numero superiore rispetto al necessario; in particolare, lamentava la ricorrente, il lavoratore infortunato aveva a disposizione un moschettone di riserva che avrebbe potuto utilizzare là dove si fosse accorto (ed aveva la formazione idonea) che quello in uso non era funzionante.

Tali circostanze – pur apparendo arduo, già di per sé, ipotizzare che un datore di lavoro violi consapevolmente la normativa in materia di salute e sicurezza per risparmiare sul costo (risibile) di un moschettone – se confermate avrebbero, infatti, radicalmente escluso la sussistenza di qualsiasi interesse dell’ente.

Tale ambito rimane però del tutto inesplorato perché la Corte, senza minimamente confrontarsi con i motivi di ricorso, afferma che nel caso all’esame, può dirsi accertato che la società distaccante aveva dotato il lavoratore di un presidio di prevenzione malfunzionante e, come evidenziato dal giudice di merito, quel presidio era essenziale per lo stesso svolgimento del lavoro da eseguirsi in distacco.

La condotta dell’agente si colloca all’interno del contesto lavorativa della società, nella fase della esecuzione di un contratto che non esonerava l’agente medesimo dal costante controllo della perdurante funzionalità di un così importante presidio di sicurezza.

Al di là di una certa approssimazione rinvenibile sulla qualificazione giuridica del presupposto oggettivo (a pag. 16 del documento impugnato si parla indistintamente di interesse e vantaggio, salvo poi ritenere più specificamente che il vantaggio era conseguito al risparmio sui costi), deve concludersi nel senso che la Corte territoriale ha esaminato il criterio di imputazione oggettivo previsto dall’art. 5 d.lgs. 231 del 2001 e lo ha individuato proprio nel risparmio di spesa derivante dalla mancata predisposizione di un presidio atto al suo scopo e dalla omessa manutenzione o sostituzione di esso, elemento questo idoneo a collegare, con giudizio ex posto, la condotta del datore di lavoro all’ente ricorrente.

In definitiva, rileviamo che da una più che discutibile condanna del datore di lavoro è conseguita una automatica e perciò inammissibile responsabilità dell’ente con buona pace del principio a cui la Corte affermava di parametrare il proprio giudizio e cioè quello per cui occorre scongiurare una lettura della norma di cui all’art. 25-septies D.L.vo 231/2001 per la quale l’affermazione della responsabilità dell’ente consegue indefettibilmente, una volta dimostrati il reato presupposto e il rapporto di immedesimazione organica dell’agente