Per affrontare l’emergenza epidemiologia da COVID-19 il legislatore, come noto, ha previsto due distinte ipotesi di sospensione della prescrizione:
- una sospensione generale, applicabile a tutti i processi in corso di celebrazione su tutto il territorio nazionale con l’eccezione di alcuni, limitati, processi ritenuti particolarmente urgenti e quindi non differibili, nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 (art. 83, comma 4, D.L. n. 18/2020) in cui tutte le udienze in calendario sono state rinviate d’ufficio con conseguente sospensione del termine di prescrizione del reato per 64 giorni.
- una sospensione ulteriore, nel periodo compreso tra il 12 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020, in cui il rinvio delle udienze veniva rimesso alla valutazione dei capi dei singoli uffici giudiziari cui era stato riconosciuto il potere di adottare le misure organizzative connesse alle esigenze sanitarie (art. 83, comma 9, D.L. 18/2020) che, di fatto, ha determinato il rinvio di tutte i procedimenti ad una data successiva al 30 giugno 2020 con conseguente sospensione del termine di prescrizione di ulteriore 49 giorni.
Come è stato sorprendentemente ed immediatamente precisato dalla Corte Cassazione alla ripresa delle attività post lock-down (cfr Sap News), simili norme, pur essendo applicabili anche ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore, non violerebbero il principio di irretroattività della legge penale; pertanto, alla data in cui sarebbe maturato il termine di prescrizione del reato devono essere aggiunti ulteriori 113 giorni di sospensione determinati dal rinvio delle udienze per l’emergenza Covid.
Anche la Corte Costituzionale, altrettanto sorprendentemente (cfr Sap News ), ha ritenuto che la sospensione “generale” della prescrizione nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio fosse compatibile con il principio di irretroattività della legge penale; sono stati così “salvati” i primi 64 giorni di sospensione previsti dal D.L. 18/2020.
È, invece, notizia di questi giorni la nuova pronuncia della Corte Costituzionale, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 7 Luglio 2021, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del D.L. n. 18/2020 nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione nel periodo compreso tra il 12 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020.
Se, a nostro modo di vedere, le stesse identiche ragioni che hanno giustificato la dichiarazione di incostituzionalità del comma 9 – parole della Corte Costituzionale: “una persona accusata di un reato deve poter conoscere ex ante (ossia al momento della commissione del fatto), sia la fattispecie di reato, sia l’entità della pena con proiezione, entro certi limiti, anche alle modalità della sua espiazione in regime carcerario (sentenza n. 32 del 2020), sia la durata della prescrizione (art. 157 cod. pen.)” o, ancora, “la garanzia del principio di legalità richiede che la persona incolpata di un reato deve poter avere previa consapevolezza della disciplina della prescrizione concernente sia la definizione della fattispecie legale, sia la sua «dimensione temporale»” – sarebbero dovute valere anche in relazione all’ipotesi di sospensione prevista dal comma 4 della medesima norma, la decisione della Corte pone comunque la parola fine su una questione dalle considerevoli ricadute processuali.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si deve tener conto del solo periodo di sospensione compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 (64 giorni complessivi)
Di conseguenza, tutti i provvedimenti con cui il termine di prescrizione è stato sospeso di ulteriori 49 giorni – dal 12 maggio 2020 al 30 giugno 2020 – sono illegittimi.