Le novità al D.Lgs. 81/08 introdotte con la L. 17 dicembre 2021 n. 215 hanno ottenuto una certa risonanza presso la Dottrina soprattutto per quello che concerne il ruolo del preposto, tanto da produrre una nota di Confindustria (nota di aggiornamento 12 gennaio 2022 – Conversione in legge del decreto legge 21 ottobre 2021 n. 146 – Profili di salute e sicurezza) e diversi articoli su riviste specialistiche online che hanno dedicato diversi interventi all’argomento. E’ naturale infatti che tutti si siano subito chiesti e si chiedano se le modifiche che hanno interessato gli articoli 18, 19, 26 e 37 del Decreto abbiano, e fino a che punto, inciso sul ruolo e quindi sulla responsabilità del preposto in modo da consacrare (anche) legislativamente il passaggio del sistema della normativa antinfortunistica che secondo la giurisprudenza “si è evoluto passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti fra più soggetti, compresi i lavoratori”. (Cass. 836/2021).
Tanto più il problema si pone con riguardo alla grande azienda od organizzazione complessa con riferimento alla quale la individuazione delle posizioni di garanzia e delle conseguenti responsabilità ha sempre rappresentato un problema di ardua e non sempre adeguata soluzione per la giurisprudenza, pur correttamente orientata anche recentemente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (si veda la sent. S.U. 38343/2014).

L’insegnamento delle Sezioni Unite
Con l’articolata sentenza 38343/2014 le Sezioni Unite ricordano che “il sistema prevenzionistico è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti
che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale” ed enumerando le diverse figure cita il datore di lavoro, il dirigente e il preposto, dimenticando la figura del lavoratore cui la legge (art. 20 del D.Lgs. 81/08) impone, tra gli altri, l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quello delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni. Proseguono le Sezioni Unite osservando che “in realtà complesse… può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti: tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza funzionale”.

In realtà i principi delle Sezioni Unite altro non sono che la traduzione “in concreto” di quanto afferma la legge ed in particolare il D.Lgs. 81/08 che a proposito del dirigente detta gli obblighi (art. 18) “secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite” e per il preposto (art. 19) “secondo le attribuzioni e competenze”. Le norme danno quindi per implicito che in realtà aziendali di grandi dimensioni l’organizzazione complessa ha per conseguenza una pluralità di garanti, ciascuno garante nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’organizzazione stessa. Questo sancisce la posizione di garanzia in senso orizzontale, ad esempio fra i dirigenti delle diverse aree di loro attribuzione, ma subito dopo già la citata sentenza delle Sezioni Unite precisa che “nell’individuazione del garante, soprattutto nelle organizzazioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e dal livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso in relazione al ruolo che questi rivestiva”. Ad esempio, prosegue la Corte, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa, in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente occasionato da scelte gestionali di fondo”. Come si vede, secondo la Corte a S.U. un principio di diritto che fissa una ripartizione delle responsabilità secondo il criterio “a ciascuno il suo”.

La novità della L. 17 dicembre 2021.
La diffusa premessa ha lo scopo di fissare i principi di legge e giurisprudenza secondo i quali dovevano essere ripartiti gli obblighi e sancite le responsabilità di prevenzione prima che intervenissero le riforme operate dalla L. 2515/2015 con la riformulazione degli obblighi del preposto che ha comportato, per quanto riguarda questa sede:
– inserimento della lettera b-bis) nel comma 1 dell’art. 18 del D.Lgs. 81/08 (obblighi del datore di lavoro…) con obbligo da parte del datore di lavoro di individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’art. 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività.
– inserimento del comma 3 bis nell’art. 18 del D.Lgs. 81/08 (obbligo del datore di lavoro e del dirigente) il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25 ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti;
– riformulazione della lettera a) del comma 1 dell’art. 19, obbligo del preposto:
a) sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;
-introduzione del comma 1 bis dell’art. 19 del D.Lgs. 81/08:
f-bis) in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate;
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’art. 37.
-introduzione del comma 8 bis dell’art. 26 del D.Lgs. 81/08:
8 bis) Nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto.
-riformulazione dell’art. 37 del D.Lgs. 81/08 in materia di formazione.

Chi è il preposto
L’art. 2 del D.Lgs. 81/08 definisce il preposto come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”. La definizione rimane invariata anche alla luce delle modifiche normative intervenute.
Un primo chiarimento è che, secondo la definizione normativa, il preposto è preposto alla attività lavorativa cui sovrintende, per cui non ha senso parlare di preposto alla sicurezza, come talvolta capita di sentire (allo stesso modo dirigente della sicurezza) quasi fosse possibile avere in ambito aziendale qualche preposto che non si occupa di sicurezza e solo di produzione o viceversa. L’espressione non è altro che l’errore di intendere la sicurezza come una problematica separata da quella dell’attività lavorativa cui è invece indissolubilmente connessa. Non esiste infatti attività lavorativa che prescinda dalla sicurezza e chi presiede all’attività lavorativa presiede anche, doverosamente, agli aspetti di sicurezza che a quella sono connessi.
Secondo punto essenziale che discende direttamente dalla definizione è che il preposto controlla la corretta esecuzione del lavoro, ossia esercita la necessaria vigilanza sul corretto svolgimento del lavoro e non esiste corretta esecuzione del lavoro se non in sicurezza perché, lapalissianamente, il lavoro corretto è solo quello sicuro.
Il terzo punto è costituito dal fatto che l’art. 18 (obblighi del preposto), nella nuova e nella precedente formulazione, non è altro, secondo il corretto atteggiamento della giurisprudenza, che l’enumerazione, direi esemplificazione, non tassativa, dei compiti che conseguono alla definizione dell’art. 2.
La definizione di preposto dell’art. 2 lett. e) ha avuto piena applicazione dalla giurisprudenza nel suo ruolo di definizione e individuazione delle responsabilità e pertanto abbiamo avuto sentenze che hanno precisato i seguenti principi di diritto:
-Il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa (Cass. 17202/2019).
-Gli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate e sui poteri di cui disporre, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (Cass. 32490/2019).
-La qualifica di preposto non necessita di essere dimostrata attraverso prove documentali attestanti la formale investitura ben potendo essere desunta da circostanze di fatto (Cass. 31863/2019).
-In base al principio di effettività assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (Cass. 31863/219 e 22246/2014). Questo principio ormai è statuito anche normativamente con l’art. 299 del D.Lgs. 81/08 che disciplina l’esercizio in concreto dei poteri equiparandolo alla regolare (formale) investitura (si veda sul punto anche Cass. 32490/2019).
-Chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto all’osservanza ed alla attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori (Cass. 17202/2019).
-Al preposto come al datore di lavoro e al dirigente sono demandati obblighi in materia di prevenzione la cui inosservanza comporta la diretta responsabilità del soggetto “iure proprio” intendendosi così che il preposto non è chiamato a rispondere in quanto delegato dal datore di lavoro, ma a titolo diretto e personale di derivazione normativa (Cass. 25836/2019, Cass. 1502/2009).
-Nelle realtà complesse, ma non solo, si riscontrano molteplici figure di garanti e pertanto l’individuazione della responsabilità penale passa attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale per cui rientrerà nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa, in quello del datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Cass. S.U. 38343/2014)
-In particolare per quanto concerne l’obbligo di vigilanza sulla attività lavorativa che spetta a tutti i garanti, ma che costituisce il fulcro degli obblighi del preposto in quanto soggetto che ricopre la posizione più vicina al contesto lavorativo, già nel tessuto normativo è previsto che il datore di lavoro sigli attraverso le figure dell’organigramma aziendale per cui le modalità di adempimento non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale (Cass. 46194/2019).

Il valore aggiunto della riforma introdotta con la L. 215/2021.
Se quanto precede rappresenta il punto di arrivo della giurisprudenza di legittimità con le norme vigenti ante la riforma attuata con la L. 216/2021, possiamo concludere che nulla è cambiato in termini di contenuto degli obblighi del preposto e di conseguenza in termini di addebito delle responsabilità del preposto.
Gli obblighi di vigilanza, di fornire indicazioni di sicurezza, di informare i lavoratori del pericolo, di segnalare ogni condizione di pericolo e ogni deficienza delle attrezzature di lavoro, di interrompere ogni attività in presenza di condizioni di pericolo erano già da tempo obblighi del preposto essendo l’art. 19, come detto precedentemente, una mera elencazione non tassativa di obblighi derivanti dalla posizione così come definita dall’art. 2 del D.Lgs. 81/08.
Se però nulla cambia in termini di addebito di responsabilità ci si augura che la nuova formulazione apporti effetti benefici sul sistema della prevenzione e sull’organizzazione del lavoro sotto altri profili. Una esplicita regolazione degli obblighi del preposto dovrebbe innanzitutto favorire, già nel mondo del lavoro fino alla decisione sulla responsabilità, il modello che la giurisprudenza ha definito “modello collaborativo” (Cass. 836/2021). Da tempo coloro che si sono occupati e hanno studiato i problemi di come al meglio organizzare e attuare la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono giunti alla conclusione, assoluta e incontrovertibile che la prevenzione può raggiungere un qualche successo soltanto con la collaborazione di tutti gli attori, dal datore di lavoro al dirigente, al preposto e ai lavoratori, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze e da sempre e fin dal DPR 547/55 la legge richiedeva questo impegno.

Un esame degli infortuni che purtroppo affliggono il mondo del lavoro non può che confermare che una più assidua attenzione della operatività da parte di chi la vive quotidianamente direttamente ha importanza decisiva. Su questi aspetti sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale proprio i quadri intermedi rappresentati dai preposti verso i quali la legge ha ritenuto di intervenire con due misure costituite dall’obbligo di individuare il preposto (art. 18 b-bis D.Lgs. 81/08), con quel che si accompagna, e l’attenzione alla formazione specifica.
L’obbligo di individuare i preposti, stabilito ora con l’art. 18 b-bis, pur con una formulazione non felice, tuttavia costituisce un modo di strutturarsi che le aziende più complesse e più attente avevano già da tempo attuato proprio con l’intento di rendere efficace l’organizzazione del lavoro e il suo esercizio in sicurezza. La lettera dell’art. 18 b-bis non è delle migliori perché fa riferimento alla vigilanza come se questo fosse l’unico onere a carico dei preposti mentre lo stesso art. 19 e soprattutto la definizione di preposto dell’art. 2 presumono ben altri e altrettanto impegnativi obblighi.
Comunque allo stato attuale della normativa, l’individuazione della posizione di preposto impone una individuazione formale nel senso di individuazione in organigramma aziendale e soprattutto una comunicazione all’interessato degli obblighi (art. 19) che gli competono in materia di tutela della salute e sicurezza nell’area di sua competenza.
La formale individuazione, con la piena consapevolezza del suo ruolo da parte del preposto, sarà utile a ricondurre senza possibilità di equivoci, ad una delle figure tipizzate dal legislatore (datore di lavoro, dirigente, preposto) i soggetti con qualifiche o denominazioni emerse nel mondo del lavoro nel quale si è creata una più vasta nomenclatura (assistente, supervisore, capo cantiere, responsabile della sicurezza e così via) che però per il Giudice non può sostituire le qualifiche fissate dalla legge alle quali quindi quelle aziendali devono essere ricondotte (Cass. 43193/2019 e Cass. 11129/2014). La formale individuazione per raggiungere la sua efficacia di prevenzione deve essere accompagnata dalla indicazione degli obblighi che la legge e le disposizioni aziendali assegnano alle persone. Ciò costituisce un forte incentivo alla presa di consapevolezza del suo ruolo da parte del preposto e raggiungerà gli auspicati risultati accompagnata dalla formazione specifica che rappresenta il secondo incisivo intervento del legislatore.

Non è dubbio infatti che il preposto come tale, e allo stesso modo datore di lavoro e dirigente, debba disporre di conoscenze e competenze diverse e ben più approfondite di quelle possedute dalle persone alla cui attività deve sovraintendere, ma proprio la specificità della formazione potrà portare i risultati attesi per lo svolgimento dell’attività lavorativa in sicurezza e alla riduzione e gestione dei rischi.