Il D.lgs. 195/2021 ha ampliato sensibilmente l’ambito di applicazione dei reati di riciclaggio e antiriciclaggio previsti dagli art. 648 bis e 648 ter 1 del codice penale (News Sap 01.12.2021) prevedendo che il profitto che va sanzionato, quando riciclato, non sia più soltanto quello che proviene da delitti non colposi, ma quello che è frutto di tutti i reati, sia delitti che contravvenzioni.
La portata della modifica incide sui delitti colposi malgrado il ridotto numero di questa categoria di reati previsti dal codice penale e malgrado la loro stessa natura di reati colposi li definisca non produttivi di profitti per l’autore. Ben difficilmente infatti si potrà affermare che l’incendio, il naufragio, il disastro colposo come tutti i reati previsti dal capo III del codice penale possano produrre un profitto, tuttavia è prevedibile che la giurisprudenza si orienterà, come è già successo per l’omicidio e le lesioni da infortunio sul lavoro, per considerare l’interesse dell’ente non già nell’evento ma nel momento della condotta antidoverosa che ha causato l’evento. L’ambito di applicazione dei due delitti avrà comunque un forte impatto con le contravvenzioni: si pensi ad esempio alle violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente, violazioni spesso commesse proprio allo scopo di conseguire un profitto per l’ente.
Rapporti con il Decreto 231/2001
Sostenere che il mero richiamo dell’art. 25 octies agli articoli 648 bis e 648 ter 1 sia sufficiente a comprendere nell’ambito di applicazione tutto ciò che le due norme del codice penale racchiudono e racchiuderanno sembra ipotesi molto azzardata. Le due norme del codice penale hanno subito un mutamento sostanziale, ed hanno creato i reati di riciclaggio e antiriciclaggio completamente nuovi includendo profitti derivanti da delitti colposi e contravvenzioni che non possono entrare a far parte del “catalogo” di reati presupposto per l’applicazione delle sanzioni previste dal D. 231 senza un preventivo specifico esame del legislatore sotto pena di manifesta incostituzionalità. Nel caso in cui dovesse affermarsi una giurisprudenza che stabilisce un immediato e automatico recepimento del nuovo testo dagli articoli 648 bis e 648 ter 1 e quindi dei nuovi reati nel novero dei reati previsti dall’art. 25 octies del Decreto 231 potrebbe porsi un problema, non nuovo perché già esistente con il vecchio testo e proposto dall’art. 24 ter del Decreto 231 a proposito di associazione per delinquere e cioè se l’ente chiamato a rispondere del riciclaggio o dell’antiriciclaggio debba rispondere anche del reato il cui profitto è stato riciclato, con le evidenti conseguenze in termini di confisca a sensi dell’art. 19 del Decreto 231. Il problema trova soluzione nell’autonomia del reato di riciclaggio e autoriciclaggio che, rispetto al reato che sta a monte, richiede una successiva e ulteriore condotta costituita da:
1) impiego del profitto illecitamente consegnato in operazioni (per il riciclaggio) o in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (per l’autoriciclaggio)
2) impiego in modo da ostacolare (concretamente per l’autoriciclaggio) l’identificazione della loro provenienza.
L’analogo problema è stato risolto dalla giurisprudenza in materia di associazione a delinquere: si veda per tutte Cass. 4/3/20 n. 8785 in cui si afferma che mentre l’autore persona fisica risponderà del reato associativo e di tutti i reati scopo commessi, l’ente risponderà del reato associativo e di quei reati che al momento del fatto rientrano nel novero dei reati previsti dal Decreto 231.
Allo stesso modo quindi, nel caso di riciclaggio e autoriciclaggio, l’ente risponderà a sensi dell’art. 25 octies del reato di riciclaggio o autoriciclaggio e dei reati che sono previsti nel tassativo elenco dei reati presupposto per la applicazione delle sanzioni 231.
Problemi relativi alla confisca del profitto
L’autonomia dei reati di riciclaggio o autoriciclaggio rispetto al reato che ha prodotto il profitto riciclato consente di affrontare i problemi che si pongono al momento di individuare il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 19 del Decreto 231 ossia la distinzione fra il profitto del reato a monte e il profitto del reato di riciclaggio e autoriciclaggio. Come è ovvio da quanto detto sopra il profitto che potrà essere confiscato all’ente è quello conseguito con le condotte di cui agli articoli 648 bis e 648 ter 1 ed in più il profitto derivante dalla commissione dei reati che sono autonomamente previsti dal Decreto 231/2001 cioè dei reati di cui l’ente risponde. Individuare quale sia il profitto dei reati di riciclaggio è problema di fatto da risolversi in concreto.
Il risk assessment
Ci si chiede se, al momento dell’analisi del rischio che verrà posta a base della redazione del Modello 231 e dalla adozione dei presidi che la Società deciderà di adottare, dovranno prendersi in considerazione soltanto i rischi di riciclaggio e di autoriciclaggio, oltre a quelli di commissione degli altri reati suscettibili di produrre un profitto per l’ente che lo potrebbe riciclare.
Premesso che, come è ovvio, l’ente può analizzare e adottare presidi organizzativi a tutela della commissione di tutti i reati dai quali intende cautelarsi e richiederne comunque una analisi del rischio, se vogliamo intendere una corretta valutazione finalizzata alla concreta attuazione del sistema 231, dobbiamo concludere che il risk assessment si deve riferire ai reati di cui l’ente deve rispondere potendo trascurare ogni altro reato per il quale l’ente non avrebbe sanzione né amministrativa né economica.