Anche se ormai la quasi totalità delle imprese si è dotata, da tempo, del Modello di Organizzazione che ai sensi del decreto 231/2001 costituisce esimente della responsabilità degli enti a fronte della commissione da parte dei propri esponenti di uno dei reati per cui è prevista la responsabilità anche della società, segnialiamo la Sentenza n. 18413 della IV sez. della Suprema Corte che ha (doverosamente) ricordato ai giudici merito quale percorso logico argomentativo deve essere seguito nel processo, per pervenire ad una sentenza di condanna della società che, al momento del fatto, fosse priva del Modello, non potendo di per  sè solo tale mancanza portare alla automatica  conclusione della sussistenza di una colpa dell’ente.

Negli infortuni sul lavoro il requisito della “colpa di organizzazione” dell’ente ha infatti la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare. Sotto questo profilo la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore del decreto n. 231/2001 e all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente, ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa, mentre l’ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa. Pertanto, l’assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente. Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente, la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due.