La pronuncia della Corte interviene nell’ambito di una vicenda, seguitissima, riguardante la condanna, non definitiva, alla pena complessiva di 3 anni, 2 mesi e 15 giorni di reclusione per i reati di cui all’art. 478 (falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici) e all’art. 314 (peculato) del codice penale, emessa nei confronti di un consigliere regionale della Liguria, che avrebbe speso (il condizionale è d’obbligo essendo il processo tuttora in corso),  la somma di Euro 138,20 rientrante nei contributi economici pubblici destinati al funzionamento dei gruppi consiliari regionali, per finalità personali ed extraistituzionali e per avere falsamente attestato nei rendiconti annuali, in qualità di capogruppo, la veridicità e l’inerenza di spese dichiarate da altri consiglieri regionali.

Il Tribunale di Genova, con ordinanza del 27 dicembre 2019, aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto legislativo 31dicembre 2012, n. 235, c.d. Legge Severino (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190) che prevede la sospensione automatica dalla carica del condannato anche in via non definitiva.

Due erano i dubbi di legittimità costituzionale della norma rimessi dal Tribunale alla Corte.

Alla stregua della prima eccezione, diretta a una pronuncia ablativa, l’art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012,nel prevedere che la sospensione dalla carica si applichi anche ai consiglieri regionali, avrebbe violato gli artt. 117 e 122 della Costituzione, invadendo la sfera di competenza legislativa regionale, «ovvero» comprimendo tale competenza nell’esercizio di una potestà legislativa statale incidente in materia regionale «in difetto di ogni coordinamento e collaborazione».

Alla stregua della seconda, diretta a una pronuncia additiva, il citato art. 8, sarebbe stato incostituzionale non contemplando un vincolo di necessaria proporzionalità in concreto tra fatto accertato in sede penale e le conseguenze automatiche previste dalla legge, violando in tal modo i principi posti dall’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, in quanto tale norma convenzionale esige, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, una deliberazione bilanciata, individualizzata e giudiziaria di ogni forma di perdita dell’elettorato attivo e passivo.

Con la sentenza n. 35 del 2021, del 9 febbraio scorso e depositata l’11 Marzo la Corte Costituzionale dichiara entrambe le questioni non fondate.

Ad avviso della Corte, la sospensione  dalla carica prevista dalla Legge in modo automatico, anche in presenza di condanna non definitiva, ed anche per importi tanto modesti «non contrasta con l’articolo 3 del Protocollo addizionale alla CEDU sulla tutela del diritto di voto attivo e passivo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in quanto, in base alla giurisprudenza della Corte EDU (una pronuncia), «i legislatori nazionali godono di un ampio margine di apprezzamento nella disciplina del diritto di elettorato passivo, in particolare quando viene in gioco la peculiare esigenza di garantire stabilità ed effettività di un sistema democratico nel quadro del concetto di «democrazia capace di difendere se stessa».

«La disposizione censurata con la previsione di determinati requisiti di onorabilità degli eletti, mira a garantire l’integrità del processo democratico nonché la trasparenza e la tutela dell’immagine dell’amministrazione». Pertanto, la previsione dell’applicazione automatica della misura non contrasta con il citato articolo 3 del Protocollo CEDU solo perché non affida ai giudici nazionali il potere di individualizzarla. In base alla giurisprudenza di Strasburgo,  infatti, gli Stati contraenti possono scegliere se affidare al giudice la valutazione sulla proporzionalità della misura o incorporare questo apprezzamento nel testo della legge, attraverso un bilanciamento a priori degli interessi in gioco».