Segnaliamo la Sentenza 1733/2020 pronunciata dalla III Sez. della Suprema Corte sul ricorso presentato da un imprenditore, commerciante, avverso la condanna emessa per aver installato un impianto di video-sorveglianza all’interno del proprio negozio, in difetto delle condizioni di cui all’art. 4 della L. 300/1970 ( Stauto dei lavoratori).

La Sentenza ha il pregio di ricordare che l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, ma dalla quale derivi anche la possibiltà di controllo a distanza dei lavoratori) deve essere sempre preceduta da un accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali e se l’accordo non è raggiunto il Datore di Lavoro deve far precedere l’installazione da una autorizzazione amministrativa rilaciata dalla Direzione territoriale del lavoro.

La Sentenza merita di essere segnalata perchè, nel caso di specie, tutti i lavoratori – e se ne dà atto nella Sentenza – avevano espresso per iscritto il proprio preventivo consenso alla installazione e avevano confermato la circostanza in sede di esame testimoniale,  ciònonostante la Corte conferma la Sentenza di condanna, motivando che la diseguaglianza di fatto e l’indiscutibile maggior forza economica dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo essere sostituita dalla autorizzazione della direzione territoriale dellavoro, solo in caso di mancato accordo fra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, non già dal consenso dei lavoratori, poichè a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro far firmare a costoro all’atto dell’assunzione una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia per ottenere un consenso viziato perchè ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.

La pronuncia insiste sul principio per cui l’installazione degli impianti deve essere il risultato di una co-determinazione fra lavoratori – per il tramite delle rappresentanze sindacali – e datore di lavoro, nel senso che l’installazione può dirsi legittima solo se essi, insieme, si siano determinati ad installare l’impianto. Introduce pertanto una sottile distinzione, fra impianti installati in accordo e impianti installati “solo” col consenso, distinzione di cui occorre prendere atto, avendo la Sentenza preso posizione a fronte di alterni precedenti, ma che non convince fino in fondo.

Concordiamo infatti che possa e debba considerarsi legittima solo l’introduzione degli strmunenti che avvenga a valle di un genuino e pieno convincimento anche dei lavoratori. Non invece che si possa affermare o negare la effettiva genuinità della condivisione dell’inziativa da parte dei lavoratori dal mero dato formale, a seconda che sia stato espresso sotto forma di accordo o consenso: Il rischio di carpire un “consenso viziato” in fase di assunzione, a cui fa riferimento la Corte, non è diverso dal rischio di carpire un “accordo viziato” in sede di pendenza del rapporto di lavoro. Per questo, ci sia consentito, sarebbe stato molto più pregevole, ricordare da parte della Corte, che al Giudice di merito compete sempre una indagine sulla genuinità dell’avvallo manifestato dai lavoratori, al di là del come sia stato manifestato, indagine da svolgersi “con” e “nel” processo, attraverso l’ esame di tutte le prove, anche testimoniali e la valutazione della loro attendiblità.

La decisione di confermare la condanna, prescindendo per principio dal dato sostanziale, facendolo soccombere a quello formale, ha disvelato la scarsa tenuta della motivazione. Non si può non notare che la stessa Corte nel “considerato” della pronuncia esressamente riconosce che l’imputato aveva installato un impianto previo accordo scritto coi lavoratori, salvo poi confermarne la condanna definendo la forma dell’accordo un mero “consenso”; inoltre la dichiarazione di responsabilità e la condanna definitiva finiscono per risultare del tutto dissonanti con le dichiarazioni dei testimoni che nel giudizio di merito avevano  manifestato la piena con-divisione alla installazione delle apparecchiature, testimonianze mai  in discussione e semmai, parrebbe, relegate a far da sfondo al processo, svuotato della sua essenza.