Segnaliamo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. IV, n. 45131 del 28.11.2022) con cui è stato respinto il ricorso di una società contro una sentenza di condanna per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies del Decreto 231.

In particolare, la Società ricorrente, che all’epoca dell’infortunio non aveva adottato un proprio modello organizzativo, lamentava di essere stata condannata nonostante il proprio sistema di gestione della sicurezza fosse sostanzialmente conforme a quanto previsto dall’art. 30 del D.L.vo 81/2008 che, come noto, individua i requisiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro cui devono rispondere i modelli organizzativi adottati ai sensi del Decreto 231.

Nel proprio ricorso la Società ricorrente segnalava che all’epoca dei fatti, pur essendo priva di un modello organizzativo poi approvato in seguito all’infortunio, aveva già adottato un sistema disciplinare idoneo a sanzionare eventuali violazioni delle norme in materia di sicurezza, aveva individuato tutte le figure previste dal D.L.vo 81/2008; inoltre, la Società osservava che le operazioni nel corso delle quali si era verificato l’infortunio erano regolate da apposite procedure e che, infine, tutti i rischi in materia di salute e sicurezza erano correttamente valutati nel DVR della Società, documento che veniva costantemente aggiornato nel tempo (si legge in sentenza che la settima revisione del DVR era stata approvata neppure due mesi prima dell’infortunio).

La Corte respinge il ricorso osservando, innanzitutto, che al di là del fatto che l’istituzione di determinate figure professionali (quali il RSPP) è prevista obbligatoriamente (cfr. artt. 31 e ss.gg. D.lvo 81/08), gli istituti cui esse sono preposte (ossia il Servizio di Prevenzione e Protezione e la Sorveglianza sanitaria), assolvono alla funzione di prevenzione degli infortuni, mentre il modello organizzativo risponde alla necessità di mappare le aree di rischio e di predisporre un sistema di controlli diretti ad «assicurare l’adempimento» di una serie di obblighi giuridici in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a ridimensionare il rischio di commissione di reati in violazione della normativa antinfortunistica.

Inoltre, prosegue la Corte, la mappatura della rischiosità ex art. 30 D.lvo 81/2008 non può farsi coincidere con la valutazione dei rischi degli artt. 15 e 28 dello stesso decreto legislativo perché, come già evidenziato dalla giurisprudenza di merito, mentre il DVR è diretto ai lavoratori ed assolve alla funzione di informarli dei rischi generici e specifici presenti nel luogo di lavoro, il modello organizzativo si rivolge anche a coloro che, all’interno della compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi, sollecitandoli al rispetto degli obblighi giuridici in materia antinfortunistica, anche attraverso la previsione di un sistema di vigilanza sull’attuazione delle prescrizioni in esso contenute e che culmina nella previsione di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza. Ed infatti, l’art. 2, co. 1 lett. dd) del D.lvo 81/08 definisce, in senso ampio, «modello di organizzazione e di gestione» il modello per la «definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590, terzo comma c.p., commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro»; in tal guisa, il modello organizzativo di cui all’art. 30 presenta un contenuto ed una platea di destinatari più ampia rispetto al DVR, essendo finalizzato a prevenire ogni possibile condotta – ascrivibile anche agli organi dotati di poteri decisionali – determinativa o agevolativa di situazioni di rischio».

La posizione, condivisibile o meno, assunta dalla Corte di Cassazione è, dunque, chiarissima: l’ente che intenda andare esente dalla responsabilità amministrativa dipendente da un infortunio sul lavoro è tenuto ad adottare un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.