La questione relativa all’applicabilità dell’istituto della messa alla prova nei processi a carico degli enti, ad oggi, è stata affrontata dalla sola giurisprudenza di merito che è giunta a conclusioni tutt’altro che univoche.
Ricordiamo, prima di tutto, che la messa alla prova consiste in una forma di probation giudiziale che consente di definire il processo con una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato in seguito all’esito positivo di un periodo di messa alla prova; in particolare, durante tale periodo, il processo penale rimane sospeso e l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterno (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede: i) la prestazione di condotte riparatorie volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; ii) il risarcimento del danno cagionato; iii) l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività.
Con riferimento all’applicabilità di tale istituto nei processi a carico degli enti abbiamo anche noi qui in passato dato atto del dibattito giurisprudenziale in corso; nella news del 27.10.2020 segnalavamo un’interessante sentenza del Tribunale di Modena che, superando una precedente pronuncia del Tribunale di Milano, aveva ritenuto applicabile l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova anche nei confronti degli enti.
A quella sentenza del Tribunale di Modena – che aveva ammesso l’ente alla prova prevedendo, quale lavoro di pubblica utilità, la donazione ad un ente religioso di una parte della propria produzione (l’ente imputato era una società operante nel settore alimentare) – hanno però fatto seguito, pochi mesi dopo, due ordinanze, una del Tribunale di Bologna ed una del Tribunale di Spoleto, che, uniformandosi alla precedente decisione del Tribunale di Milano, hanno ritenuto l’istituto della messa alla prova inapplicabile agli enti.
In un succedersi di pronunce in aperto contrasto l’una con l’altra, il Tribunale di Bari, a giugno 2022, ha invece sposato l’orientamento del Tribunale di Modena ed ha ammesso alla prova un ente imputato dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies D.L.vo 231/2001.
Accogliamo, pertanto, con soddisfazione la recente notizia dell’assegnazione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – udienza fissata per il prossimo 27 ottobre – del ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trento contro una sentenza di estinzione del reato pronunciata dal locale Tribunale nei confronti di un ente incolpato dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies D.L.vo 231/01.
In quel processo celebrato a Trento, quindi, il Tribunale aveva ammesso l’ente alla prova; l’ente aveva svolto regolarmente il programma di trattamento concordato ed il Giudice, di conseguenza, aveva dichiarato estinto il reato.
Contro tale sentenza ricorre il Procuratore Generale perché l’istituto della messa alla prova non sarebbe applicabile agli enti. Tralasciamo in questa sede ogni commento sulle implicazioni che può aver avuto sull’ente la decisione di impugnare un provvedimento di estinzione del reato che di fatto riapre una vicenda che già era definita e l’ente riteneva definita con lo svolgimento dei lavori avvallato dal Giudice e cogliamo il lato positivo della vicenda: il prossimo 27 ottobre le Sezioni Unite, valutato il ricorso del Procurato Generale, porranno fine al contrasto giurisprudenziale creatosi nella giurisprudenza di merito.