E’ stata depositata ieri una importante pronuncia della Suprema Corte in tema di interruzione della prescrizione del reato per gli enti.
La Corte ha infatti riaffermato il principio per cui viene riconosciuta anche agli atti processualmente nulli (e benché nulli) la capacità di conseguire lo scopo di interrompere il corso della prescrizione, avendo essi un valore oggettivo, nel senso di denotare la persistenza dello Stato a perseguire il reato e comunque a porre in luce l’interesse punitivo, sicché l’atto interruttivo della prescrizione, pure quando sia nullo, conserva la sua efficacia ai fini interruttivi, siccome univocamente idoneo a manifestare la volontà punitiva dello Stato.
Deve pertanto escludersi che alla eventuale invalidità della richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato, con citazione altresì dell’ente responsabile dell’illecito, benché non preceduta da specifici adempimenti a garanzia dei soggetti interessati (nella specie notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari), possa essere riconosciuto un effetto preclusivo alla interruzione della prescrizione, tenuto conto della lettera dell’articolo 160, comma 2, c.p.p., della giurisprudenza di legittimità e dello specifico indirizzo giurisprudenziale che riconosce l’applicazione della norma di rito processual-penalistica anche agli atti di contestazione della responsabilità degli enti ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 231/2001. In altre parole, la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito amministrativo, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza