Segnaliamo una recente pronuncia di legittimità (Cass. Pen., Sez. IV, n. 20387 del 24.05.2021) in cui la Corte di Cassazione era chiamata ad esaminare il ricorso presentato dal preposto di una Srl condannato in primo e secondo grado per l’infortunio occorso ad un suo dipendente che, precipitando da una scala, aveva riportato un poli-traumatismo e lesioni multiorgano dalle quali era conseguito un fenomeno settico e poi la morte.

Nel corso delle indagini preliminari la Procura della Repubblica, ritenendo di dover verificare se la causa di morte potesse farsi risalire al trauma della caduta,  o piuttosto in via esclusiva alla successiva setticemia, aveva incaricato un proprio consulente di svolgere un’autopsia per “stabilire l’esistenza di relazione causale tra il poli-traumatismo subito dal lavoratore a seguito della caduta dall’alto rispetto all’evento morte”.

La Procura incaricava il proprio consulente senza darne alcun avviso all’indagato, ed il consulente del Pm procedeva, pertanto, all’accertamento autoptico in totale autonomia e senza alcun confronto con i consulenti dell’indagato.

Veniva così a determinarsi una pacifica nullità dell’accertamento svolto, stante il  principio cardine del nostro ordinamento processuale – sanzionato, per l’appunto, a pena di nullità – che stabilisce il diritto dell’indagato di essere avvisato, di nominare propri consulenti, di partecipare al compimento dell’atto irripetibile.

La sussistenza di tale nullità veniva riconosciuta già dal giudice di primo grado che tuttavia ammetteva ugualmente l’esame in dibattimento del consulente del pm che aveva svolto l’autopsia “per fornire la sua valutazione tecnica sul rapporto di causalità materiale tra caduta del lavoratore ed evento letale, prescindendo da quanto espresso nell’elaborato tecnico e fondandosi esclusivamente sui documenti esaminati quali la cartella clinica e sui trattamenti cui il paziente era stato sottoposto nel corso della degenza ospedaliera”.

Un’evidente forzatura con cui nella sostanza si eludeva il divieto imposto dalla norma, avallata dalla Corte di Appello che aveva così determinato l’introduzione nel processo di una prova (recitus dei risultati di una prova) decisiva illegittimamente formata ed a cui era conseguita la condanna dell’imputato.

A recuperare la situazione e rimediare all’evidente lesione del diritto di difesa Interviene, fortunatamente, la Corte di Cassazione che riconosce, come “in contrasto con la logica processuale” la decisione che era stata assunta in primo e secondo grado, stante il fatto che il consulente tecnico, come ovvio, “è portatore di una conoscenza tecnico scientifica che non può prescindere dalle operazioni compiute nel corso delle indagini peritali”.

Dopo aver ricordato che l’incarico affidato al consulente del pubblico ministero aveva ad oggetto proprio l’accertamento del nesso di causalità tra infortunio e decesso, compresa la valutazione di eventuali interferenze riconducibili all’operato dei sanitari, la Corte osserva che “in tale coacervo di quesiti non appare suscettibile di scissione la porzione documentale dell’elaborato tecnico” perché “la valutazione demandata al consulente è unitaria e il consulente è chiamato a rispondere proprio perché ha esaminato i documenti sanitari e ha condotto tutte le indagini sul cadavere della persona offesa per accertare la causa della morte e la ricorrenza di contributi causali concorrenti o alternativi”.

L’epilogo, corretto e sospirato, è l’annullamento della sentenza di condanna per la celebrazione di un nuovo giudizio di appello in cui non si potrà tener conto di quanto riferito in dibattimento dal consulente del Pubblico Ministero.

La decisione assunta dalla Corte di Cassazione non può che essere accolta favorevolmente avendo restituito dignità al principio del contraddittorio nella formazione della prova, sancito dalla Costituzione e riconosciuto dall’art. 360 c.p.p. sin dalla fase delle (prime) indagini preliminari, che non può e non deve subire alcun allentamento in alcun processo.

Stupisce, tuttavia, che siano occorsi tre gradi di giudizio per affermare un principio di diritto indiscusso e indiscutibile e cioè quello per cui in nessun modo e in nessun caso possano utilizzarsi o essere surrettiziamente introdotti nel processo i risultati di un’autopsia eseguita per conto della Pubblica Accusa senza che la difesa sia mai stata posta nelle condizioni di partecipare ed interloquire, come previsto dal Codice e dalla Costituzione.