E’ noto che i reati tributari siano compresi nel catalogo dei reati presupposto, che possono cioè dar origine ad una responsabilità dell’ente ai sensi del d.lgs 231/2001. La Sentenza che è stata pronunciata dalla Corte di Cassazione in questi giorni, che rappresenta il primo approdo davanti alla Corte per tali reati, ha il pregio di indicare chiaramente che anche aree o attività aziendali a prima vista al di fuori del rischio di commissione di questo tipo di reati, devono invece essere adeguatamente prese in considerazione, sia nell’attività di risk assessment, sia in quella dell’organizzazione dei presidi volti a prevenire la commissione dell’illecito. La circostanza è tanto degna di nota, in quanto le sanzioni nei confronti dell’ente per questo tipo di illeciti sono molto incisive, comprendendo anche quelle interdittive, ed è consentito in via cautelare in fase di indagini, il vincolo delle somme, che possono essere molto rilevanti, nonostante l’incertezza sull’an e sul quantum dell’imposta evasa. Circostanza che deve quindi essere tenuta in debita considerazione in fase di elaborazione del modello.
Nel caso specifico, il reato tributario e l’illecito conseguentemente contestato all’ente è disceso dall’uso distorto dell’istituto del distacco e dell’appalto. La Corte ha infatti precisato che sussistono i presupposti per la responsabilità 231 ricorrente ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies di un ente per omesso versamento dell’iva nel caso particolare cosi ricostruito nei fatti:« [..] la ricostruzione fattuale dei giudici cautelari, come desunta dalle risultanze investigative, che hanno posto in luce la fraudolenza o, comunque, la natura evasiva dell’operazione, esclude che le parti abbiano fatto ricorso all’istituto del distacco che “si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa” (art. 30, D.Igs. 276/2003). Il distacco, per potersi configurare, esige perciò che il distaccante persegua un interesse proprio, ossia un interesse produttivo distinto, rispetto al distaccatario, come il buon andamento di una società controllata – o partecipata – ovvero le esigenze formative del proprio personale. Nel caso in esame, come più volte precisato, si è invece al cospetto di un appalto non genuino, attraverso il ricorso ad una somministrazione illecita di manodopera. Ciò provoca in genere ed ha provocato nella specie una serie di anomalie, avendo determinato una concorrenza sleale tra le imprese, per la conseguente alterazione delle regole del mercato, avendo comportato lo sfruttamento dei lavoratori e avendo prodotto evasioni fiscali e contributive, con particolare riferimento all’evasione Iva. Stando alle risultanze investigative, come compendiate nell’ordinanza impugnata, si è cioè realizzato uno schema in forza del quale il committente, attraverso un appalto non genuino, ha azionato il diritto alla detrazione dell’Iva dopo aver articolato un meccanismo in forza del quale, attraverso il pagamento di fatture per “finti” appalti di opere e servizi, ha “scaricato” l’Iva da un consorzio che, a sua volta, ha “scaricato” il tributo dalle cooperative consorziate che l’avrebbero dovuto versare allo Stato ed invece, dopo qualche anno, hanno cessato l’attività, rimanendo in debito verso l’erario, che è risultato impedito nel recupero dell’imposta, con conseguente accollo dell’evasione fiscale alla collettività [..].»