Importante Sentenza della Sez. IV penale, la numero 34943, per aver chiarito in piena aderenza al dato letterale della legge, il corretto perimetro di accertamento della responsabilità dell’ente nei due diversi casi, quello del reato presupposto commesso dai soggetti apicali, e quello del reato commesso da coloro che sono sottoposti all’altrui direzione e vigilanza.
Le questioni affrontate dalla Corte nella pronuncia in commento sono due. La prima riguarda le diverse condizioni a cui nei due casi deve essere riconosciuta la responsabilità.
Sul tema la Corte non lascia dubbi e ricostruisce chiaramente come Il decreto 231/01 distingua i soggetti apicali da coloro che a questi sono sottoposti (art. 5).
Rammentato che la responsabilità dell’ente trova giustificazione in una colpa di organizzazione, ovvero in un deficit dell’organizzazione che si pone quale causa del reato, l’operato dei soggetti apicali è ritenuto ex se espressivo di una colpa di organizzazione. Pertanto, l‘adozione e la efficace attuazione di un idoneo modello di organizzazione e gestione, unite alla elusione fraudolenta del medesimo (ma sono note le difficoltà di dare un ruolo a tale dato nel caso di reato colposo di evento) ha la funzione di dimostrare che, nonostante la compenetrazione tra operato dell’apicale ed ente, il reato commesso dal primo non è attribuibile al secondo.
Per i soggetti sottoposti all’altrui direzione e controllo, il legislatore ha ritenuto non operante un tale meccanismo di trasposizione e pertanto ha individuato un diverso fattore di riconduzione del reato all’ente, rappresentato dalla violazione degli obblighi di direzione e di controllo facenti capo alla figura apicale.
Tale violazione ha la funzione di assicurare che il reato del sottoposto metta radici nella colpa di organizzazione dell’ente; tanto che ove sia stato adottato un idoneo modello di organizzazione e gestione e lo stesso sia stato anche efficacemente attuato, la violazione degli obblighi di controllo e di gestione perde la sua valenza indiziaria e degrada a fatto dell’apicale non espressivo della colpa di organizzazione dell’ente.
Vi è quindi una importante implicazione nella qualità della persona fisica autrice del reato: ove si tratti di uno dei soggetti indicati dalla lettera a) dell’art. 5 del decreto 231, l’adozione e la efficace attuazione di idoneo MOG non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente, ancora occorrendo che esso sia stato fraudolentemente eluso.
Nel caso di soggetto sottoposto, secondo la nozione ricavabile dall’art. 5 lett. b) del decreto, l’adozione e l’efficace attuazione di idoneo MOG è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente, anche quando il reato sia stato reso possibile dalla violazione degli obblighi di direzione e controllo gravanti sui soggetti apicali. Si colga in particolare quest’ultima precisazione per cui la violazione degli obblighi di direzione e controllo non implica e non deve implicare di per sè l’inidoneità o la mancata attuazione del Modello, poiché ove adottato ed efficacemente attuato, degrada l’omissione a fatto esclusivamente riconducibile addebitabile alla persona fisica e non all’ente.
Colto il diverso atteggiarsi della responsabilità dell’ente e la sua ratio, si apprezza l’importanza di individuare correttamente il ruolo nell’ente dell’autore del reato.
Ricordato che per Legge (art. 6 c.1 dlgs 231701) rivestono ruolo apicale “le persone che hanno funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell’ente, o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché le persone che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso ente”, e puntualizzato che il principio di legalità che informa anche il sistema di accertamento della responsabilità degli enti impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della norma senza indulgere ad interpretazioni analogiche o estensive e quando la norma non sia chiara di attenersi alla interpretazione giurisprudenziale vigente, e ad evitare interpretazioni in malam partem, la Corte offre precise definizioni a cui attenersi per ciascuna delle funzioni che identificano un apicale ed in particolare:
la nozione di rappresentanza evoca, sotto il profilo sostanziale e processuale, un insieme di poteri in forza dei quali l’organo esprime all’esterno la volontà dell’ente in relazione agli atti che rientrano nell’esercizio delle sue funzioni ed essa costituisce, indipendentemente dal conferimento di specifiche procure, una conseguenza del ruolo dallo stesso rivestito all’interno della compagine, in quanto strumentale al perseguimento dei fini dell’ente.
la nozione di direzione plica, di regola, un atto di prepositura con la quale il dirigente viene indirizzato all’intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa e viene investito di attribuzioni che, per ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, pure nel rispetto delle direttive programmatiche dell’ente il potere di imprimere un indirizzo o un orientamento al governo complessivo dell’azienda assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello.
La Corte precisa anche che al fine di una corretta inclusione di un soggetto fra gli apicali non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica ovvero direzionale lo strumento delineato dall’art. 16 D. Lsv. 81/2008 che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, né di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.
La Corte nel caso di specie, doveva giudicare della contestata riferibilità della responsabilità di un infortunio a soggetto investito di posizione apicale dell’ente ritenuto tale dalla Corte di Appello evidenziando che l’imputato era si RSPP dello stabilimento, ma era stato anche investito, mediante procura speciale, del potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza, esclusa ogni ingerenza dell’organo amministrativo e dotato di mezzi finanziari per l’adempimento dei compiti stessi, nei limiti dell’importo cli euro 25.000 e pertanto esso accentrava poteri gestionali e di spesa che gli conferivano una veste di soggetto posto al vertice dell’azienda, tanto che aveva sottoscritto il Documento di Valutazione dei Rischi in qualità di datore di lavoro.
La Suprema Corte annulla la condanna escludendo che l’imputato potesse essere considerato un soggetto apicale. Conclusione che ci sentiamo di condividere con riferimento al ruolo di RSPP. Al contrario riteniamo che possa e debba essere invece considerato apicale un soggetto munito di Procura tanto ampia da poter/dover svolgere il ruolo di datore di lavoro. Posto anche che la definizione di datore di lavoro ai sensi del decreto 81/08 è pienamente sovrapponibile a quella degli apicali contenuta nel d.lgs 231/2001 che ricordiamo sono coloro che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell’ente, o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia.
La decisione della Corte di Cassazione di annullare la condanna torna ad essere pienamente condivisibile se l’imputato fosse stato un mero delegato ex art. 16, considerato altrettanto condivisibile l’assunto della Corte per cui non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica ovvero direzionale lo strumento delineato dall’art. 16 D. Lsv. 81/2008 che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, né di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.