Segnaliamo la sentenza n. 30610 della sezione III penale della Corte di Cassazione che ha chiarito a scanso di equivoci che l’ applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell’ente ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. n. 231 del 2001, non può comportare la condanna dell’ente stesso alle spese processuali. La questione è solo apparentemente capziosa e di scarsa importanza, e non è un caso sia arrivata fino alla suprema corte. In generale infatti le spese processuali possono ormai raggiungere cifre molto considerevoli, anche nell’ordine di decine di migliaia di Euro; a maggior ragione nei procedimenti che coinvolgono gli enti, in cui nella fase delle indagini sono quasi sempre svolte corposissime consulenze tecniche, vuoi per la complessità della maggior parte dei reati presupposto, vuoi per la necessità di valutare l’organizzazione delle società e l’idoneità del Modello e la sua attuazione nel tempo. E’ chiaro dunque che la decisione dell’ente di ricorrere al patteggiamento, che per definizione è (dovrebbe essere) un rito premiale, potrebbe ben essere condizionata dall’obbligo di accollarsi anche le spese. Opportuno dunque tenere a mente che per la Suprema Corte “la sentenza di applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell’ente ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. n. 231 del 2001, non può comportare la condanna dell’ente stesso alle spese processuali”, principio che contribuisce a recuperare il bistrattato istituto del patteggiamento, così prezioso anche in ottica deflattiva.