La Suprema Corte si era già espressa in passato sulle sorti del procedimento a carico dell’ente nel caso di una sua cancellazione dal registro delle imprese intervenuta nel corso del processo.

Il Procuratore Generale presso la Corte, nel caso di specie, aderendo all’indirizzo che si era formato, nella propria requisitoria aveva chiesto annullarsi la sentenza di condanna intervenuta in primo e secondo grado, per estinzione dell’illecito a seguito di estinzione dell’ente, richiamando il precedente di legittimità di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., Rv. 277107, secondo cui «In tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato», principio richiamato anche nella parte motiva della recente sentenza di Sez. 5, n. 25492 del 27/04/2021.

In quella pronuncia la Corte ritiene che la cancellazione dell’ente imponga l’annullamento senza rinvio della eventuale sentenza di condanna intervenuta quanto l’ente era ancora in vita.

Si rileva infatti, in via preliminare che l’art. 35 del D.lgs n. 231 del 2001 estende all’ente le disposizioni relative all’imputato. Pertanto, nel caso in cui si verifichi l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente, correlata alla chiusura della procedura fallimentare, si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato di ente ormai estinto, ovvero di una persona giuridica non più esistente.

Tale scelta interpretativa – sulla cui correttezza logica e giuridica non sembrerebbero potersi avanzare ombre – risulta confermata, sempre secondo la Corte, dal fatto che il testo legislativo regolamenta sole le vicende inerenti la trasformazione dell’ente, ovvero la fusione o la scissione (art. 70 d. lgs. n. 231 del 2001), ma non la sua estinzione, che dunque non può che essere trattata applicando le regole del processo penale (art. 35 d.lgs n. 231 del 2001). Ritiene dunque la Corte non importabile nel processo a carico dell’ente per l’accertamento della responsabilità da reato, il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate“, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente (Cass. civ. Sez. 5, Ordinanza n. 13386 del 17/05/2019, Rv. 653738; Cass. civ. Sez. 3, Ordinanza n. 20840 del 21/08/2018, Rv. 650423).

Il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è infatti correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano «ancora pretese nei confronti dell’Ente; la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001 è invece incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro dalle imprese che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare: tale evento produce infatti l’estinzione della persona giuridica “accusata” e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo, salvo che tale cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica”.

A distanza di un anno, la Corte ritorna dunque sulla questione mutando orientamento. Il cuore della motivazione sta tutto nella parte motiva della Sentenza in cui la Corte afferma che “ Il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica. Ciò per una pluralità di motivi: a) in primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile; b) poi, perché quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come all’art. 8, comma 2, della legge n. 231 del 2001, allorché ha disciplinato l’amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche, ed all’art. 67 della disciplina in esame, ove ha previsto la adozione di sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto; e quando la sanzione è estinta per prescrizione; c) inoltre, perché, essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa ed altro, Rv. 263682), secondo cui «In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. lgs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo; d) ancora, perché il richiamo che il difforme orientamento interpretativo opera all’art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2011 (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., cit., p. 4 della motivazione) trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma è solo «in quanto compatibili»”. Per concludere che “Alla stregua delle considerazioni svolte, deve ritenersi che l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporti che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico”.

Con queste motivazioni la Corte – testualmente – “in consapevole contrasto” con i precedenti di legittimità, afferma il seguente principio di diritto: «la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato».

La questione, per evidenti motivi,  non è di quelle frequentemente al vaglio della Corte; a nostro avviso rimane ancora aperta, e i contrasti che stanno emergendo, sono il preludio ad un – auspicato e risolutivo intervento delle Sezioni Unite.