In questo periodo stiamo ascoltando diversi e contrapposti pareri in ordine all’efficacia delle mascherine per la prevenzione del rischio di contagio da Covid-19.
Auspichiamo che gli esperti giungano presto ad un parere unanime sulla loro reale utilità, ma poiché nel frattempo il loro utilizzo, compatibilmente con la loro reperibilità, va diffondendosi sempre di più, e certamente le mascherine sono e saranno un dispositivo di protezione obbligatorio per tutti i lavoratori, sarebbe auspicabile fare chiarezza anche sulle loro corrette modalità di smaltimento. Trattandosi di dispositivi “usa e getta”, e considerato che facilmente il rischio di contagio dovrà essere affrontato per lungo tempo e/o a più riprese, si profila per il DdL l’obbligo di smaltirne ingentissime quantità e la più che reale esigenza di avere la certezza di operare nel modo corretto onde evitare la contestazione di reati anche gravi.
La normativa di riferimento ad oggi è purtroppo deludente in quanto a chiarezza e gli unici riferimenti che si possono trovare sono:
- Circolare del Ministero della Salute n. 5443 del 22.2.2020. Precisa che per gli ambienti non sanitari dove hanno soggiornato casi confermati infetti da Covid-19 i dispositivi di protezione individuale (quindi anche le mascherine) utilizzati “dal personale che effettua le pulizie” devono essere smaltiti come materiale potenzialmente infetto. I rifiuti derivanti dalle attività di pulizia devono essere trattati ed eliminati come materiale infetto di categoria b.
- Pubblicazione dell’Istituto Superiore di Sanità “indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus sars covid2 rivista al 14.3.2020″. Questa pubblicazione raccomanda alle persone che non sono a contatto con soggetti positivi al tampone covid di mantenere le procedure di smaltimento dei rifiuti (quindi anche le mascherine) in vigore nel territorio di appartenenza non interrompendo la raccolta differenziata. Per quanto riguarda invece lo smaltimento delle mascherine usate da persone infette, raccomanda di riporle in due sacchetti, uno dentro l’altro, sigillati adeguatamente utilizzando guanti monouso e di riporre il rifiuto nell’indifferenziata.
Di fronte all’attuale incertezza, per decidere come comportarsi in ambito lavorativo, non si può che ragionare nella prospettiva più cautelativa possibile, l’unica cioè che mette al riparo da contestazioni che potrebbero costare, anche in termini economici, molto più di un oneroso smaltimento.
Pertanto nelle aziende che proseguono le attività ai sensi del Dpcm 11 e 22 marzo 2020, il datore di lavoro, anche ai sensi del 2087 c.c., allo stato ed in attesta di auspicati interventi chiarificatori, deve preferire lo smaltimento delle mascherine usate dai dipendenti come rifiuto sanitario a rischio infettivo ovvero trattarle come rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni, quanto meno in tutti i casi in cui nell’ambiente lavorativo vi siano stati soggetti infetti, con malattina conclamata.
Al momento sarebbe molto azzardato conferirle come rifiuto diverso, sulla base di mere indicazioni dell’ISS riferite espressamente ai soli rifiuti urbani, e sull’assunto, ad esempio, che le mascherine sono utilizzate dai lavoratori come mezzo di protezione individuale associato ad altre misure (misurazione della febbre/dichiarazione del lavoratore circa precedenti contatti con soggetti malati e assenza di sintomi etc) che sembrano garantire l’accesso solo a persone non ammalate; infatti è altrettanto vero che sembrano esserci soggetti malati totalmente asintomatici, soggetti guariti portatori di contagio, e che non esistono ad oggi parametri certi dei tempi di latenza.